Nel suo libro Making it explicit il filosofo linguista americano Robert B. Brandom tratteggia con poche linee un efficace quadro antropologico finalizzato a comprendere l’identità dell’uomo moderno. Secondo Brandom ci che siamo noi esseri umani, a differenza degli animali, è in parte deciso da noi stessi e, contemporaneamente, scoperto.
Prima di agire gli esseri umani si trovano già coinvolti in prassi sociali condivise, ovvero nella loro cultura, e in relazioni intersoggettive e simboliche, determinate dalla loro lingua. Questi elementi compongono per gli individui orizzonti di vita condivisi, in cui si trovano già immersi alla nascita e che devono via via scoprire. Per un verso siamo dunque nella posizione di decidere liberamente chi vogliamo essere e diventare, per altro verso dobbiamo scoprire chi siamo già. In conseguenza di ci , quello che siamo realmente dipende anche da quello che pensiamo di essere.
Secondo Brandom noi sviluppiamo la nostra auto-comprensione in modo esplicito, la esploriamo illuminandone il percorso. Per fare ci abbiamo bisogno di costruire una teoria su cosa significhi, nella prassi sociale, trattare un essere umano come uno di noi. (Brandom, 1994).
Lo psicoterapeuta sistemico Gianfranco Cecchin, confondatore del “Milan approach”, insieme a Gerry Lane e Wendel A. Ray lanciarono negli anni ’90 una proposta intrigante, inconsueta nell’ambito della psicoterapia: secondo il loro approccio l’individuo deve trattare l’altro essere umano con irriverenza. L’attualità di questa proposta è verosimilmente ancora viva vista l’importanza che continua a esercitare il “Milan approach” su diversi istituti di terapia familiare in Italia.
Nel seguito di questo scritto vorrei analizzare la proposta di Cecchin, Wendel e Ray, mettendone a fuoco i limiti e le problematiche. Dopo di ci vorrei confrontare quella impostazione con il mio approccio metodologico, che chiamo fin d’ora “leggerezza creativa”.
Cecchin i suoi colleghi (in seguito citeremo solo Cecchin) propongono “una prospettiva nuova”, un atteggiamento mentale diverso per guardare sé stessi e gli altri in un modo inedito. Tale prospettiva, che punta all’obiettivo di raggiungere elasticità e flessibilità, viene da loro chiamata irriverente. L’irriverenza, secondo Cecchin, aiuta sia il terapeuta sia il cliente a recuperare la loro libertà nell’agire. Il terapeuta irriverente si “interessa nel mondo umano per l’eccezione”, per le persone che si allontanano dalle norme. L’irreverente vuole smantellare le certezze: “il terapeuta irriverente non si lascia confinare in una posizione limitata a un solo livello logico ma si muove a vari livelli di astrazione, passando dall’uno all’altro. Invece di accettare qualsiasi descrizione prestabilita, l’irriverenza si propone di smantellare le certezze.” (Cecchin et al., 1992, p. 24).
La prospettiva dell’irriverenza implica un’idea enfatica dell’individualità della persona, ossia della sua unicità. Cecchin vuole ricuperare la spontaneità del soggetto, vuole ripristinare la libertà dell’individuo nel suo agire e nel conoscere, vuole riattivare la sua creatività. Noi esseri umani siamo individui avviluppati nelle nostre storie, nelle nostre pratiche di vita e nella intersoggettività simbolica della nostra lingua. Ogni individuo vuole comunicare alla sua comunità di appartenenza qualcosa della propria individualità. Cecchin sottolinea l’importanza delle contingenze della vita, l’imprevedibilità dell’altro, e mette in guardia il terapeuta dall’entrare troppo schematicamente in un inquadramento determinato da regole rigide.
Cecchin segue, nelle sue riflessioni, una seconda intuizione: l’idea dell’importanza dell’orizzonte comune della vita delle persone, orizzonte in cui si trovano i concetti culturali, i pregiudizi e le regole sociali della convivenza. L’orizzonte comune rappresenta per Cecchin anche lo sfondo e il fondamento delle idee scientifiche. “Per i terapeuti, è utile capire che, prima ancora di essere condizionati dai pregiudizi impliciti nei modelli teorici e clinici, sono già determinati da pregiudizi di carattere generale preesistenti. Come dice Weakland, la tendenza della gente a vedere cioè in cui crede largamente diffusa.” (Cecchin et al., p. 68).
Negli orizzonti comuni della vita gli individui si relazionano attraverso regole che strutturano le loro prassi sociali, le loro convinzioni e tradizioni. Secondo Ludwig Wittgenstein le regole sono per gli esseri umani il fondamento della vita sociale condivisa, della possibilità di condividere significati simbolici, grazie alla lingua, di comprendersi e dialogare fra di loro. Per far valere una regola occorre che almeno due persone si mettano d’accordo sulla valenza di questa regola: la prima persona, il parlante, propone la regola e l’altra persona, l’ascoltatore, pu prendere posizione e pu rispondere con un sì o un no sulla accettabilità della regola. Nella prammatica universale (Habermas, 1984) vengono distinte diverse modalità della comunicazione, che si strutturano secondo l’uso dei pronomi personali. Ogni persona pu decidere se vuole assumere l’atteggiamento espressivo della prima persona (“IO”), nella quale esprime le sue esperienze e opinioni, o l’atteggiamento obiettivante della terza persona, che percepisce l’ambiente e lo descrive. Ma l’atteggiamento di un parlante , ovvero un “IO” che si pone di fronte a un ascoltatore, ossia una seconda persona, un “TU”, al quale indirizza la sua comunicazione, dipende da un atteggiamento complementare che è di libera scelta da parte dell’ascoltatore. Il destinatario deve farsi coinvolgere nell’atteggiamento di seconda persona, di ascoltatore, in modo da attribuire alla prima persona il ruolo di oratore. La seconda persona ha la libertà comunicativa di rispondere con un sì o un no a un invito a dialogare.
Questa modalità si svolge in una comunicazione partecipativa, in cui esiste lo scambio simmetrico dei ruoli della prima e della seconda persona, del rivolgere la parola e del replicare. Questa relazione struttura il modo di comunicare: l’IO e il TU si incontrano come due soggetti che agiscono consapevoli del fatto che con il loro atti linguistici entrano in una relazione di dipendenza. Essi affrontano un rischio, in questo incontro, poiché il successo dei loro atti linguistici dipende dalla reazione che l’altro, il TU, che esamina la proposta dell’oratore, pu rispondere alla fine tanto con un Sì che con un No. In questa relazione di dipendenza reciproca, dunque, la prospettiva dei dialoganti offre un accesso immediato alle aspettative, ai giudizi e alle esperienze dell’altra persona. Questa modalità struttura una conversazione, un dialogo, in cui le persone scambiano le loro motivazioni e ragioni per far valere il migliore argomento. La posizione dell’osservatore è molto diversa: egli percepisce l’altro come una terza persona, ovvero vede e descrive questa persona come si mostra dal di fuori, con le sue emozione e azioni. Nella modalità partecipativa, invece, le persone svelano sé stessi, i loro pensieri e loro emozioni. Fondamentale è il fatto che essi sentano fortemente la loro relazione dentro di sé: L’IO dell’oratore lo sente come un senso di Sé e il TU dell’ascoltatore lo sente nelle proprie emozioni, che lo portano a valutare se poter scegliere l’altro come partner nella conversazione. La scelta del paziente nei confronti del terapeuta come partner dei suoi dialoghi si lega strettamente al tema della fiducia come aspetto centrale di questa scelta.
Mi sono dilungato sulla descrizione della struttura di un dialogo autentico fra due persone perché vorrei sottolineare l’importanza che ha la comunicazione orientata alla comprensione nel rapporto fra un paziente e un terapeuta; è questa la comunicazione congruente fra un IO e un TU, quella che permette un vero contatto fra due persone e la condivisione di un sapere emotivo partecipato. La posizione di disimpegno di un terapeuta, quella che favorisce solo il punto di osservazione della terza persona, crea più danni che prospettive.
Anche nel caso in cui il terapeuta osservi un’apparente regola del paziente dalla sua posizione di osservatore, esso è tenuto, per verificarla, a entrare in una relazione partecipativa da ascoltatore, perché solo il paziente possiede il sapere implicito della sua validità. Per comprendere un paziente il terapeuta ha bisogno di attivare un sapere partecipativo, in cui possa sentire le sue emozioni nella relazione con il paziente, in cui percepisca sé stesso e il paziente.
Il primo passo che il terapeuta deve fare consiste nel ricostruire, in una relazione partecipativa con il paziente, le regole che guidano la sua vita, le sue azioni e sentimenti, le sue relazioni. Ci si pu fare solo nella modalità partecipativa, perché solo in questa egli sa di che cosa parla il paziente, poiché divide con lui gli stessi orizzonti di vita. Ma la relazione fra paziente e terapeuta non si esaurisce in una relazione ermeneutica, ossia di comprensione, ma va molto oltre: il dialogo e la dialettica della conversazione permettono e stimolano un apprendimento di entrambi attraverso lo scambio di prospettive, delle nuove esperienze e di un recupero delle forze creative del paziente.
Per far cambiare le regole al paziente Cecchin propone di agire dalla posizione dell’osservatore: “Il terapista irriverente sabota i modelli e le storie che vincolano la famiglia entro schemi prefissati, seminando confusione e incertezza e creando così le condizioni perché i clienti possono sviluppare modelli e punti di vista diversi e possibilmente meno costrittivi. In ogni caso, il terapeuta che vuol essere irriverente, cerca di tenersi al di fuori dalle credenze condivise…. L’irriverenza permette di muoversi con la libertà del gioco senza soggiacere a sistemi di significati impoveriti e costrittivi. Gioco non significa assenza di regole, la consapevolezza che le regole sono relative, convenzionali e provvisori: cambia il gioco, cambiano le regole.” (cit. p. 22-23).
I presupposti teorici della visione di Cecchin si ritrovano nella visione cibernetico-biologica sviluppata dal biologo Umberto Maturana e Varela (1980) e nel costruttivismo radicale di von Förster (von Förster, 1981). “ Negli ultimi anni siamo stati affascinati dalla cibernetica di secondo ordine, teoria che ha dato origine a due linee di pensiero differenziate. La prima metà dell’accento sul ruolo dell’osservatore ( o terapista) nel sistema che fa propria l’idea di Maturana e Varela… secondo cui le interazioni di tipo istruttivo sono impossibili per gli esseri viventi. Secondo von Förster e Keeney… la realtà, una certa realtà, è una costruzione relazionale che si attua in un dato dominio linguistico.” (cit. p. 18-19)
Nella visione di Maturana l’individuo è chiuso nelle sue cellule auto-organizzate, nelle quali egli produce risposte neuronali che determinano la sua mappa del mondo. Attraverso il linguaggio l’essere umano crea una rete di relazioni che permette di arrivare a un consenso nei concetti usati per coordinare le reciproche azioni. Il meccanismo di scambio intersoggettivo fra le persone, secondo Maturana, rimane filtrato e in conseguenza condizionato dalle risposte neuronali individuali; questo permette che vi siano solo delle perturbazioni fra una persona e l’altra, nessun influsso o contatto diretto. Anche il costruttivismo radicale di von Förster si muove nella tradizione di un’epistemologia che concepisce l’elaborazione della coscienza come un monologo del soggetto con sé stesso, in cui l’individuo elabora la propria percezione della realtà attraverso l’attivazione della memoria personale, per arrivare a una rappresentazione degli oggetti del mondo, che possono corrispondere più o meno con la realtà oggettiva. Il soggetto non pu valutare definitivamente la verità della propria valutazione perché non ha nessun accesso alla realtà: si muove nel buio con una percezione imprecisa di corrispondenza (“it fits” ).
“La ricerca tradizionale a noi sembra valida, non meno di altre prospettive. Il nostro criterio di valutazione di un dato approccio non si basa sulla sua corrispondenza maggiore o minore a una qualche verità, ma sul suo possibile impiego nella pratica terapeutica. Potremmo osservare che la nostra realtà, con la quale dobbiamo confrontarci ogni giorno, rimanda a una esperienza molto ben organizzata, che si autoconvalida. Non possiamo sapere in che misura la realtà che sperimentiamo corrisponda a qualcosa di oggettivo al di fuori di noi o sia solo una nostra proiezione: in ogni caso, è questa la realtà che descriviamo in cui troviamo modelli, regole, ridondanze.”(cit. p. 81). Gli orizzonti comuni della vita che le persone condividono sono fatti da una rete di significati simbolici comuni che forma un humus collettivo sulla cui base le persone si comprendono e agiscono. Poiché gli esseri umani costruiscono questi significati comuni l’intersoggettività simbolica rimane, nell’approccio costruttivistico, un fatto inspiegabile. Una caratteristica degli orizzonti comuni della vita, come dice Cecchin, è la loro stabilità, la loro forza di organizzare l’esperienza delle persone che, nel caso di azioni di successo, si autoconvalidano. A questo punto si pone una domanda interessante: che cosa succede se la catena delle azioni nella quotidianità delle persone non funziona più perché i presupposti non corrispondono con la realtà? In poche parole: quando c’è un bisogno di apprendimento da parte delle persone per risolvere dei problemi?
Le persone vengono in terapia perché nella quotidianità le loro azioni e la comunicazione con l’altro non funzionano più, ma creano sofferenza e difficoltà, ovvero problemi. Qualche volta i pazienti, come dice Cecchin, sono soffocati da “regole rigide”, “schemi prefissati”. Questi pazienti hanno allora bisogno di un percorso di apprendimento per incominciare una vita diversa, prendendosi il diritto secondo il quale “possono essere felici”. (Ullrich, 2019). Quali teorie, quali concetti e tecniche servono ai pazienti per trovare un orientamento nella loro ricerca di un’identità moderna in un percorso di apprendimento terapeutico? Quali criteri pu usare un terapeuta per valutare se un concetto, ossia una ipotesi da lui formulata, corrisponde con le necessità e le problematiche del paziente? Su questo punto la risposta di Cecchin rimane vaga. Egli propone un gioco con altre regole stimolato dall’atteggiamento della irriverenza. In questo approccio si esprime la cultura di un certo Zeitgeist, di una certa moda attuale del pensiero: la celebrazione e la lode della molteplicità. In questa corrente di pensiero gli orizzonti della vita si sgretolano in tanti contesti separati, che esprimono la loro realtà in un relativismo molto pronunciato. I diversi pretesti di conoscenze, sia scientifiche sia del fare quotidiano, vengono ritenuti incommensurabili fra di loro. Secondo questa visione non esiste nessuna possibilità nella comunità scientifica di arrivare a un confronto produttivo attraverso lo scambio di argomenti. Il dialogo in cui si confrontano i migliori argomenti per arrivare ad un consenso teorico non viene preso in considerazione e viene sacrificato sull’altare dell’esaltazione della molteplicità. Questo culto del relativismo e della arbitrarietà estingue qualsiasi riferimento alla forza della ragione. Concetti regolativi come la realtà, la verità, il sapere, vengono cancellati perché nell’epistemologia del relativismo moderno sono ritenuti impossibili da determinare.
La trasformazione del paradigma della filosofia della coscienza in quello della pragmatica linguistica suggerisce che la molteplicità e l’unità trovano il loro luogo nel linguaggio, nella comunicazione orientata alla comprensione. Anche concetti come la verità, il sapere, la realtà hanno un fondamentale valore perché senza queste idee regolative la comunicazione tra persone nella quotidianità perderebbe ogni senso e imploderebbe. La filosofia pragmatica linguistica propone una connessione diretta fra concetti e azioni, fra prassi sociale e conoscenza, promuovendo l’idea che le persone possono imparare solo dagli altri e che l’apprendimento non si svolge nel confronto soggetto-realtà ma nella comunità di riferimento, attraverso un dialogo in cui le persone si scambiano le proprie opinioni sulla realtà stessa. Il paradigma della filosofia linguistica offre, con i suoi concetti, un potenziale che permette di superare la tradizionale separazione fra prassi e teoria, fra esperienza e costruzione, fra corpo e mente.
L’ irriverenza, vista come capacità di muoversi fra i modelli, di cambiare il punto di vista come un elastico mentale per abbandonare idee, ipotesi e convinzioni, pu essere sostituita con la capacità di ragionamento critico, con una comunicazione congruente, ovvero una comunicazione nella quale i partecipanti si assumono la responsabilità di dire quello che sentono e pensano e di ascoltare l’altro in quello che sente e pensa. In questo tipo di dialogo il terapeuta si espone con le sue emozioni, con il suo vissuto, per sviluppare un sapere partecipativo e non da osservatore neutro, costruendo un percorso di apprendimento insieme al paziente.
I “teoretici delle infrastrutture sociali” (Tomasello, 2014) come Wittgenstein, Pierce e Mead, hanno compiuto un primo passo teorico per capire la comunicazione cooperativa, il mondo intersoggettivo simbolico delle persone. Negli ultimi anni, attraverso un progresso nelle ricerche empiriche e teoretiche, è stato possibile sviluppare concetti e spiegazioni molto più dettagliate intorno alla dimensione sociale della coscienza e della comunicazione umana (Tomasello, 2014). Queste ricerche sulle infrastrutture cooperative confermano la tesi di Pierce secondo cui i processi d’apprendimento si svolgono secondo lo stesso schema logico, sia nel processo di ricerca sia nella quotidianità, quando le persone risolvono con le loro azioni problemi concreti. Noi presumiamo che una convinzione contenga implicitamente una regola o una legge empirica dalla quale si pu dedurre una regola d’azione di successo. L’applicazione di questa regola diventa il fondamento dell’abitudine nel comportamento. Nel momento in cui l’applicazione della regola di azione non ha più il successo aspettato nasce insicurezza; questo porta alla ricerca di una orientamento diverso. Attraverso l’abduzione (Pierce, 1868) di una nuova regola si trova una spiegazione della esperienza problematica, che diventa la base per dedurre una nuova indicazione per le azioni concrete. Se con tale indicazione si ottengono successi continuativi la nuova regola verrà confermata in modo induttivo. Queste modalità di abduzione, deduzione e induzione, ovvero questi processi logici, rappresentano le norme di un metodo riflessivo umano cooperativo che serve tanto per arrivare alla soluzione dei problemi quotidiani tanto nel processo di ricerca per arrivare a un consenso fra i ricercatori.
La proposta pragmatica di Pierce non vuole migliorare il metodo di un singolo ricercatore per aumentare il suo sapere su un oggetto ma propone una doppia prospettiva per mostrare la forza della ragione nel risolvere problemi: Il discorso possiede:
- un orientamento alla verità e…
- un orientamento al piano delle azioni che rappresentano il riferimento delle convinzioni.
La prima prospettiva apre il discorso sulle motivazioni e la loro validità, verificato attraverso norme di logica e attraverso un processo semantica di inferenza, fatto cioè di conclusioni e riflessioni.
Nella seconda prospettiva si esprime l’elemento della comunità, le azioni che si svolgono nella comunità per arrivare ad un consenso; in queste azioni i ricercatori misurano le loro argomentazioni per trovare alla fine un consenso che permette loro di stabilizzare le pratiche che hanno in comune. In questo dialogo si esprime la forza sociale e integrativa dell’argomento migliore, ovvero la forza consensuale di ritenere una data posizione l’espressione di una verità. La stessa cosa succede nel processo di problem-solving, nella quotidianità delle persone.
“Quando un soggetto comunica con un altro fa riferimento a tre mondi distinti: lo spazio del mondo sociale, con le sue norme le relazioni; lo spazio del mondo oggettivo, con la sua fisicità e suoi eventi; il mondo soggettivo interiore, con i suoi sentimenti, pensieri, desideri.
Attraverso il linguaggio questi tre mondi diventano un unico sistema, formando una cornice di interpretazione comune della realtà, in cui si svolge la comunicazione orientata alla comprensione.” (Ullrich, 2019, p. 57). A ognuno di questi tre mondi appartiene un concetto regolativo della ragione: al mondo oggettivo fisico esterno appartiene il concetto di verità; il mondo sociale, con le sue norme, risponde al concetto di giusto o sbagliato; il mondo soggettivo interiore viene valutato attraverso il concetto della veridicità. La veridicità nella comunicazione tra persone si pu valutare solo nella congruenza, nel tempo, fra intenzioni, azioni e gesti. Il livello di veridicità espresso dal paziente fa capire al terapeuta quanto una persona si trovi in una situazione conflittuale nella comunicazione con sé stessa e con gli altri; fa capire, inoltre, quanto la persona si auto-illuda sulla propria situazione e sulla propria persona.
Questi concetti regolativi della ragione nella comunicazione quotidiana tra persone permettono un processo d’apprendimento: si pongono nella prospettiva dell’altra persona per comprenderla e si confrontano sulle motivazioni che essa sostiene per giustificare le proprie opinioni. Lo stesso processo accade in terapia, fra il terapeuta e il paziente: la ricostruzione delle regole, il dialogo in cui si discutono le motivazioni per giustificarle o per trasformale, la verifica della veridicità nella comunicazione del paziente, si finalizzano per stabilire con il terapeuta una comunicazione congruente, nella quale ci che il paziente esprime – verbalmente o non-verbalmente – assume un significato congruente.
Nel nuovo paradigma delle infrastrutture sociali, cooperative e comunicative viene sviluppata l’idea che l’essere umano pu comprendere il significato di un pensiero solo se prende in considerazione quelle azioni che questo pensiero produce nella realtà. Il significato di un concetto si scopre nell’individuare le azioni che implicitamente sono connesse ad esso. In ogni credenza abita una disponibilità di azioni che corrisponde con il suo contenuto. Spesso le emozioni agiscono come forze che nutrono la volontà della persona nel mettere in pratica un’azione e creano un ponte fra il pensare e l’agire.
Le persone possiedono delle convinzioni in base alle quali ritengono una data cosa come certamente vera. Ma persone agiscono anche concretamente nella realtà, e questo agire significa per loro mettere in pratica la verità di quella data cosa.
Già per Kant i concetti hanno la forma delle regole, grazie alle quali si pu comprendere come deve essere fatta una certa cosa. Se Cartesio concepiva l’intenzionalità in modo descrittivo (per lui è essenziale individuare certe qualità dell’oggetto), Kant propone invece un approccio normativo o prescrittivo, che non si focalizza sulle qualità degli oggetti ma sulla giusta applicazione pratica del concetto.
Se uno psicoterapeuta usa un certo concetto diventa fondamentale quale autorità particolare si assume quando applica questo concetto. L’oggetto della valutazione, nella prassi, diventa la misura della correttezza o scorrettezza delle sue azioni in riferimento al concetto. Questa idea di Kant viene differenziata e motivata in un modo più ampio nel paradigma dell’infrastruttura sociale e comunicativa. È essenziale comprendere che le nostre opinioni, intenzioni o credenze si sono formate in questo modo, che siamo condizionati e obbligati, attraverso di esse, ad agire e pensare ogni volta in un determinato modo. Dunque non esiste un divario fra teoria e prassi, fra un contesto specifico e regole generiche, fra mente e corpo, fra fuori e dentro della persona, fra tecniche e idee. Il centro dell’apprendimento umano rappresenta il momento di dialogo in cui le persone verificano attraverso motivazioni le proprie opinioni, per abbandonare in certi momenti le parole facendo esperienza dirette, toccando la realtà con le azioni, per ritornare nello spazio dello scambio della conversazione per verificare questa esperienza.
“Sono stato sempre affascinato dall’opposizione di due concetti: la leggerezza e il peso. Nel lavoro mi sono sentito sempre più attratto dalla leggerezza…. Seguendo il binario della leggerezza si viaggia nel tessuto dell’esperienza umana, lungo fili sottili che vanno dal corpo alla parola, e dalla parola al corpo e poi alla narrazione e da questa all’ immagine, per poi ritrovare tutti questi aspetti insieme nella comunicazione.” (Ullrich, 2019, p. 109). Se partiamo dal presupposto che le tecniche, le pratiche e le teorie nella psicoterapia sono caratterizzate da una connessione stretta, nella dimensione della leggerezza troviamo delle utili regole per applicare questa leggerezza alla prassi.
Per comprendere meglio il concetto di leggerezza possiamo risalire a Calvino (Calvino, 1993), che è tornato ripetutamente su questo tema. Secondo Calvino la leggerezza rappresenta un metodo di conoscenza e di verifica, l’espressione della vivacità e della mobilità dell’intelligenza umana. La si trova nella poesia dell’invisibile e nella potenzialità infinita delle esperienze imprevedibili. Non ultima, la leggerezza focalizza le forme che definiscono la diversità di ogni cosa e di ogni persona, la loro unicità. Il concetto di leggerezza ci porta all’inizio della ontogenesi, come lo descrive Daniel Stern, nella fase del primo emergere di un sé nel bambino: sono quelle esperienze che collegano il vedere con il sentire, la sperimentazione degli affetti vitali, da cui il bambino impara la coreografia del suo sentire e impara a percepire quella degli altri, nelle loro forme, intensità, ritmi e frequenze. Secondo Stern questa prima fase di vita psicologica del bambino rappresenta la sorgente della creatività umana. Il mondo del bambino, in questa fase, è fatto di sospiri, raggi luminosi, immagini ottiche. Dallo sfondo di questa esperienza nell’età adulta si formano le immagini di un’entità impalpabile che si spostano tra anima sensitiva e anima intellettuale, tra mente e cuore, fra occhi e voce.
Secondo Calvino la leggerezza non è superficialità ma è una condizione precisa e determinante. Per togliere peso alla compattezza del mondo, propongo dunque alcune regole utili da applicare nella psicoterapia:
- La leggerezza emerge nell’esperienza corporea nella quale il paziente sperimenta con i suoi sensi i propri movimenti emotivi, sensoriali e senso-motori, al proprio interno e al proprio esterno. La formula: “in questo momento percepisco, sono consapevole che…” porta il paziente al suo potenziale di esperienze imprevedibili e infinite. Se queste esperienze corporee vengono convogliate dal paziente su un tessuto verbale leggero, con parole fresche e nuove, la leggerezza comincia il suo viaggio.
- Focalizzare la narrazione della biografia della persona (o di un suo processo psicologico) sugli elementi più sottili e impercettibili porta alla leggerezza. Descrizioni che comportano un alto grado di astrazione suscitano leggerezza, come nella formulazione: “Se questa cosa si realizzasse nella sua vita, che cosa significherebbe per lei come uomo adulto? Se questa cosa profonda avesse un colore o un sapore, quali potrebbero essere?”
- Utilizzare immagini figurative che possano assumere un valore emblematico. Il terapeuta pu aprire prospettive di trasformazione e di dissoluzione della compattezza della esistenza della persona esplorando l’interazione fra il paziente e la figura immaginativa
- La ricerca della unicità della persona , dei suoi talenti e qualità porta leggerezza sia nelle parole sia nelle immagini. Leggerezza vuol dire anche reinventarsi, essere creativo rompendo le regole convenzionali per scoprire la propria unicità. Non con violenza ma da prospettive magari inconsuete, per esempio vedendo la propria vita “dalla luna” o dal punto di vista di “un uccello che si alza in volo”. La leggerezza trova la sua espressione in tante immagini di levitazione, come quella delle streghe che si levano in volo o il sciamano che esce dal mondo fisico e si solleva da terra. La creatività che pu esprimere il terapeuta è connessa alla creatività del paziente, così come in un gruppo jazz, i cui membri si ispirano reciprocamente con forza, determinazione e leggerezza.
Per esemplificare che cosa intendo con “leggerezza creativa” pu essere utile esaminare un caso concreto.
Giulia, cinquant’anni, venne da in un momento piuttosto spento della propria vita. Il suo desiderio era quello di riscoprire la sua parte vitale e trasgressiva. Giulia lavorava, era sposata, senza figli. Si present nel mio studio vestita elegantemente, sfoderando un’espressione allegra. Alla fine della prima seduta le proposi un progetto terapeutico: “Forse possiamo individuare insieme qualche esperienza, qualche idea o aspetto della sua vita che le potrebbero essere utili in un prossimo futuro per vivere la sua vita con più entusiasmo; cerchiamo qualcosa che la induca a osare, a trasgredire qualche abitudine consolidata, qualche regola che lei è particolarmente cara.” Giulia acconsentì. Nella seconda seduta le chiedo di cercare di ricordare un’esperienza nella quale lei aveva “vissuto” pienamente il proprio corpo. Ecco come si è svolta, nel dettaglio, quella seconda seduta:
Terapeuta- Ricorda un’esperienza nella quale ha vissuto con gioia il suo corpo?
Giulia- Si… per esempio l’anno scorso, quando sono stata in vacanza, ho fatto un’esperienza emozionante: ho attraversato una valle di oltre un chilometro e mezzo appesa a una fune. La fune si trovava a una altezza di più di cento metri!
T- Cerchi di riprendere contatto con quella esperienza e scelga una postura che esprima le sensazioni che aveva vissute in quel momento.
(Giulia prova a trovare una postura che le possa richiamare le sensazioni vissute).
T- Proviamo insieme a rivivere l’esperienza vissuta. Cominciamo dall’inizio: lei sta per lanciarsi, appesa alla fune. Che cosa percepisce in questo momento?
G- …la mia bocca si apre… sento il sapore dell’aria dolce… guardo giù e sono un po’ spaventata.
Poi si parte, in velocità. Mi sale dentro una forte emozione di libertà!
T- In questo momento, dove sente nel suo corpo questa emozione, questa sensazione di libertà?
G- Mmm…. nella pancia!
T- Che cosa sente esattamente nella pancia che le suggerisce ci che lei chiama libertà?
G- Sento un calore… che diventa sempre più forte.
T- Provi a dire: “Io sono calda e mi sto riscaldando”.
G- Io sono calda e mi sto riscaldando…. Mi sento sempre più calda… e percepisco un grande spazio davanti a me, enorme…
T- Provi a dire: Sto spaziando…
G- Sto spaziando. Ma… sento che mi sta salendo la paura… non posso permettermi questa libertà, sarebbe una trasgressione troppo forte, nella mia vita.
T- possiamo invitare, in questo momento, la sua parte trasgressiva e farla sedere vicino a lei?
G- Sì… sì. Deve sedersi dietro di me, con la testa in giù, come se fosse… repressa.
(Prendo una sedia e la posiziono dietro di lei).
T- Come sente questa compagna immaginaria seduta dietro di lei?
G- Va bene così, la sento… repressa.
T- Possiamo ripartire nel suo viaggio?
G- Ok. Sento di nuovo il calore, sempre di più… mi viene da cantare…. una canzone di Vasco Rossi, “siamo solo noi….”.
(Inizia a cantare, a voce bassa).
T- cosa succederebbe, in questo momento, se lei alzasse la voce?
G- …la parte trasgressiva dovrebbe alzarsi… muovere le mani e cantare con me.
T- Bene: immaginiamo che questa parte, che sta dietro di lei, si alzi, muova le mani e canti con lei!
(La paziente comincia a cantare con voce fortissima ed espressiva.)
T- Che cosa sente in questo momento?
G- Mi sento forte e vitale e sostenuta dalla mia parte trasgressiva. Mi sento “tutt’una”.
Dopo questa esperienza chiedo Giulia che cosa succederebbe se nella sua vita si introducesse in modo sistematico la sua voglia di spaziare e di trasgredire. Da qui Giulia elabora delle fantasie su ci che potrebbe fare nelle prossime settimane per vivere pienamente la sua parte vitale. La storia di Giulia ci induce a fare qualche riflessione. Come abbiamo potuto osservare il corpo vive nel presente. Quindi entrare nella dimensione dell’esperienza corporea di Giulia è stato il tentativo per aiutarla a prendere consapevolezza di quanto lei provasse nel presente. Il terapeuta parte dalla frase “in questo momento sento…”. Nel corso della seduta ci concentriamo sul corpo, sulle sensazioni che Giulia percepisce come esperienze fisiche del momento; il risultato è che lei inizia a muoversi, ripetutamente, come seguendo una musica. In questa esperienza Giulia trova parole leggere, che esprimono movimento e sensazione di libertà. Una figura immaginaria, la sua parte trasgressiva “umanizzata”, viene da me evocata nel momento in cui la paziente avverte dentro di sé un conflitto verso l’ esperienza vissuta. Propongo di invitare un’accompagnatrice immaginaria per spingere la paziente ad esprimere con forza l’esperienza della sua desiderata libertà vitale e per trovare elementi di “leggerezza” utili a trasformare il conflitto in una prospettiva di vita reale.
Bibliografia
Brandom, R.B., (1994), Making it Explicit, Harvard University Press
Calvino, I., (1993), Lezioni americane, Milano: Mondadori
Cecchin, G., Lane, G., Ray, W.A.,(1992), Irriverenza, Milano: Franco Angeli
Förster, H. von, (1987), Sistemi che osservano, Roma: Astrolabio
Habermas,J., (1981). Teoria dell’agire comunicativo, vol.2, tr.it. (2015), Roma: Pgreco
Maturana, H.R., Varela, F.J., (1985), Autopoiesi e cognizione, Venezia: Marsilio
Pierce, C.S.,(1868), Come rendere chiare le nostre idee, tr.it. (2014), Torino-Novara: UTETdeAgostini
Tomasello, M., (2014), Unicamente Umano, Milano: Feltrinelli
Wittgenstein, L., (1953), Ricerche filosofiche: Torino, Einaudi
Ullrich, W.H., (2019) Posso essere felice, Milano: Guerini e Associati
Sommario
L’autore sostiene che i diversi approcci in psicoterapia possiedono implicitamente una teoria su cosa significhi, nella prassi sociale, trattare un essere umano come uno di noi. L’autore analizza la proposta di Gianfranco Cecchin e altri su questo tema: trattare gli altri con irriverenza. L’autore, su questo punto, evidenzia quelli che sono, a suo avviso, i limiti e problematiche di questo approccio. Alla fine l’autore propone di sostituire l’atteggiamento di irriverenza con un comportamento ispirato da un giudizio critico, vissuto in una comunicazione congruente con l’altro. Egli tratteggia così il suo approccio che definisce “leggerezza creativa”, esponendo anche un caso concreto in terapia.
Parole chiave
Costruttivismo, meta-modello biologico, pragmatismo, teoria e prassi, leggerezza, comunicazione congruente.
Abstract
The author argues that each psycotherapeutic approach faces a central theoretical question: what is the meaning to treat a human being as one of us in the social practice? About the issue of treating others with irreverence, the author analyzes various theoretical approaches among which Gianfranco Cecchin. The article highlights the limits and problems of this approach. The writer proposes to substitute the irreverent attitude towards the other person with a behavior of critical judgement embedded in a process of congruent communication. To conclude the author defines his approach as “creative lightness”, also describing a concrete therapy case.
Key words
constructivism, biological meta-model, pragmatism, theory-practice, congruent communication, lightness
Dr. Wolfgang Heinz Ullrich, Copyright